CON L’AUSILIO DEL DIZIONARIO DELLA LINGUA ITALIANA COMINCIAMO CON UN RISCALDAMENTO ONOMATOPEICO-VERBALE DI G.R.A.T

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G.R.A.T COME GROUP REFL-ACTIONS THEATRE

 

La sigla G.R.A.T nasce in un caldo pomeriggio di Luglio 2013 al Taulab mentre io e  la psicologa Giuliana Gibellini parliamo di sociodramma moreniano e di come si possa veicolare questo prezioso metodo ludico e conoscitivo di gruppo in maniera da non spaventare nessuno. Infatti benché la parola ‘dramma’ venga dal greco e significhi semplicemente ‘azione scenica’ la parola ‘sociodramma’ in molti ambienti sembra fare l’effetto di un morbo da cui stare alla larga. In realtà il sociodramma moreniano che rientra nel campo delle arti terapie è un metodo naturale e divertente per aiutare a sviluppare capacità di problem solving e a sperimentare nuovi ruoli e nuovi comportamenti. Aiuta ad imparare a regolare se stessi e ad esprimere in modo sicuro e appropriato forti sentimenti. Il sociodramma con le sue storie e i suoi personaggi può essere utilizzato per affrontare i problemi sociali che possono sorgere nelle aule scolastiche, sui luoghi di lavoro o anche nelle famiglie. Quello che caratterizza questo metodo è che si entra in scena sempre giocando il ruolo di un personaggio scelto. Il ruolo per l’individuo è nel contempo una protezione e una possibilità di sperimentare e di mettere in gioco se stesso nel gruppo e con il gruppo in un ambiente protetto e contenitivo. Esistono poi tutta una serie di strumenti come l’intervista, l’inversione di ruolo, i doppiaggi , gli specchi ecc. che permettono ai partecipanti di entrare a contatto con più punti di vista per avere la possibilità di comprendere dinamiche complesse. Bene, il G.R.A.T è una versione per certi versi un po’ meno strutturata di questa metodologia che ingloba in sé anche dei riscaldamenti artistico-espressivi e riflessioni che costituiscono la parte conclusiva delle sessioni sceniche. Dunque per concludere si tratta di una forma di teatro terapia per comprendere meglio se stessi e gli altri.

Facciamo un piccolo esempio di G.R.A.T che ha visto coinvolti un gruppo di otto adulti durante un open day. Dopo l’introduzione onomatopeico – verbale di cui sopra chiediamo ai partecipanti quali panni vorrebbero indossare, cioè che personaggio vorrebbero interpretare, poi chiediamo di fare un disegno che lo descriva così come viene. Si visualizzano i disegni e ognuno presenta il suo personaggio. Scriviamo i nomi dei personaggi su dei bigliettini che vengono piegati e scelti a caso dai partecipanti. In un certo senso si mescolano le carte e ognuno prova ad entrare nei panni del personaggio trovato. A questo punto chiediamo a chi si sente particolarmente ispirato di salire sulla scena . Gli altri del gruppo, cioè il pubblico che è sempre partecipante, intervistano il protagonista sul personaggio che andrà ad interpretare. L’intervista serve per mettere a fuoco il personaggio per come lo vive il protagonista e per esplicitare la scena che poi verrà giocata.

Una donna entra in scena e si presenta come il ‘Pagliaccio Paola ’dicendo : Lavoro come pagliaccio in un ospedale pediatrico e conosco tanti bimbi, in particolare uno ‘genere vulcano’ che si trova ricoverato a motivo di un’ernia.’ A questo punto il pagliaccio Paola invita sulla scena un’ altra donna perché giochi nel ruolo del ‘bimbo-vulcano’ . Dopo un’ interazione tra le due, la donna rappresentante del bambino dice che non riesce a giocare nel ruolo del ‘bimbo vulcano’. A questo punto il conduttore propone un’inversione di ruolo: Il pagliaccio farà il bambino vulcano per far vedere alla rappresentante come lo dovrà giocare e la rappresentante prenderà il posto del pagliaccio cercando di giocarlo così come lo ha visto fare dalla protagonista. Nei panni del bambino la protagonista gioca veramente un bambino vulcano, mentre la rappresentante del bambino fatica ad entrare nei panni del pagliaccio pediatrico e a gestire la situazione. Lei se ne accorge e, uscendo per un attimo dallo scorrere della scena, dice ad alta voce che la figura del pagliaccio per come la intende lei non ha tutte quelle responsabilità . Questo viene chiamato tecnicamente un soliloquio. Poi riprende la scena. La situazione si complica perché il bambino vulcano comincia a spostare tutti gli altri bambini del reparto (impersonati da dei cuscini) e a quel punto il pagliaccio dice di aver bisogno di aiuto perché non riesce più a gestire  quel caos. Il conduttore allora  chiama dal pubblico una ragazza per giocare il ruolo di infermiera . L’infermiera così entra in scena molto decisa a rimettere in ordine le cose. Durante l’azione scenica la rappresentante del pagliaccio colpevolizza il bambino vulcano e chiede espressamente all’ infermiera di sgridarlo a dovere. L’infermiera accetta di entrare in un ruolo autoritario e sgrida pesantemente il bambino che si mette a piangere. A questo punto, il conduttore ferma l’azione e chiede di rigiocare la scena da capo, ma ora ognuno rientrerà nei ruoli di partenza. La donna protagonista interpreta il pagliaccio pediatrico e la donna rappresentante del bambino comincia ad entrare nei panni del piccolo vulcano ritrovando un’energia infantile che sembrava dimenticata. Poi torna l’infermiera e la scena questa volta si chiude  quando il pagliaccio pediatrico litiga con l’infermiera perché la giudica troppo autoritaria. Nelle riflessioni finali emergono molti spunti. Nel corso delle diverse scene ci sono stati dei fenomeni di proiezione che significa proiettare parti di sé su altre persone. Inoltre il non riuscire ad entrare in un ruolo ci ha fatto pensare che non siamo abituati a sostenerlo o non lo abbiamo mai sostenuto. In particolare la rappresentante del bambino vulcano ha potuto riflettere in merito alla bambina che era nella sua infanzia e che cosa gli adulti si aspettassero da lei. Da queste brevi scene che costituiscono dei riscaldamenti emerge con forza il tema della responsabilità e della delega su cui si potrebbe ulteriormente lavorare con il gruppo, così come il tema dell’autorità e delle nostre reazioni di fronte ad essa.

 

Maria Teresa Cardarelli- Ottobre 2014