Da due anni, insieme al GAFA (1) e alla geriatra dott.ssa Vanda Menon collaboro in qualità di MusicArTerapeuta nella Globalità dei Linguaggi (GdL) (2) nella conduzione di laboratori a favore di pazienti Alzheimer insieme ai loro caregiver (3). Tali interventi s’ inscrivono all’interno del Progetto Persona che vede sempre il paziente inserito in un contesto familiare e sociale con le proprie attitudini e le proprie risorse. In particolare, il progetto nel suo complesso punta a supportare e ad approfondire la relazione comunicativa tra il malato e il familiare che di solito si occupa in modo specifico e continuativo del proprio caro e a creare dinamiche di condivisione di gruppo per quelle famiglie che si trovano ad affrontare questa invalidante malattia. In tal senso, il progetto di GdL si differenzia da tante altre attività che vedono volontari e professionisti agire su gruppi di malati da una parte e gruppi di familiari dall’altra. Proprio perchè questi malati vivono ancora in famiglia il loro benessere, seppur nel contesto della malattia, molto dipende dal clima familiare che respirano. Spesso, il grado di sofferenza e stress dei caregiver supera di gran lunga quella dei malati che generalmente non sono pienamente consapevoli del loro stato e di ciò che la malattia comporta. Mi è capitato più volte di interagire con caregiver decisamente più depressi e scoraggiati dei loro familiari malati e proprio per tale ragione, tempi condivisi in cui poter comunicare con modalità nuove che permettano al paziente e al proprio familiare momenti di benessere, fiducia, curiosità e scoperta reciproca sono fondamentali, nel contesto di specifiche attività di tipo artistico/musicale mirate a contenere anche il progressivo declino cognitivo dei malati. La scelta specifica di proporre attività in coppia malato/caregiver all’interno del gruppo favorisce poi le reti amicali tra famiglie che grazie all’instancabile lavoro dei volontari dell’associazione si sentono supportate anche nel più ampio contesto sociale. Ma ora veniamo a descrivere più in dettaglio alcuni laboratori proposti che hanno visto coinvolte trenta coppie di persone. 

Il laboratorio “Sotto/Sopra”

Nel laboratorio multisensoriale “Sotto/Sopra” è stata utilizzata un’ampia gamma di linguaggi e stimoli non verbali, tra cui la produzione di immagini, per favorire una comunicazione piena e profonda tra le coppie di persone che dipingevano l’una di fronte all’altra in una prospettiva visiva volutamente rovesciata. Il sottosopra può infatti costituire una buona metafora per la patologia Alzheimer che mette spesso e volentieri i malati e i loro caregiver in condizioni spiazzanti. Prendere  visivamente atto di questa condizione sottintendeva entrare in una prospettiva che nell’espressione artistica contemporanea è spesso in grado di aprire scenari inattesi. In altre parole, la patologia ci mette forzatamente sottosopra, ma anche in questa scomoda situazione possiamo comunicare scoprendo nuove realtà e possibilità. Altri obiettivi dell’intervento sono stati quelli di creare un ambiente contenitivo atto a favorire la libera espressione e il piacere di fare, dando un senso a quelli definiti generalmente “comportamenti insensati” che in questi pazienti si esplicitano attraverso schemi ripetitivi o stereotipati. La consegna fatta agli accompagnatori era stata quella di rispettare i ritmi e le scelte dei pazienti con stadi della malattia differenziati e relativamente all’attività pittorica, la sospensione del giudizio sul proprio operato e su quello dell’altro. Siamo partiti così dal corpo come matrice di segni, con i suoi vissuti e le sue memorie, anche quelle che la mente poteva aver dimenticato, grazie alla stimolazione sensoriale attivata con un massaggio alle mani dove all’inizio il ricevente era il malato. Nel corso del massaggio alcuni pazienti che avevano ricevuto hanno poi restituito, accarezzando le mani del proprio caro. Una cosa così semplice, ma intima, ha commosso più di una persona durante il massaggio che poteva venire applicato per un tempo indeterminato, alla fine del quale le persone avrebbero potuto cominciare a dipingere con le dita utilizzando gli acquerelli e anche il caffè per stimolare l’olfatto. Spesso prima dei laboratori c’è un’accoglienza dove questa bevanda viene offerta per cui ritrovarla come medium pittorico ha fatto sì che il clima conviviale iniziale e il piacere di stare insieme potesse naturalmente perpetuarsi durante un’attività del tutto nuova. Con il tatto anche l’udito è stato stimolato attraverso un bagno sonoro nelle musiche di Bach che ci hanno accompagnato durante tutta l’attività. Infine, il senso della vista è stato continuamente attivato grazie al contatto visivo reciproco frontale e anche dall’utilizzo del colore che agisce fortemente a livello emozionale. L’esito è stato abbastanza sorprendente nel senso che il tempo di attività e attenzione che si pensava non potesse superare la mezz’ora si è naturalmente protratto per un’ora intera con la soddisfazione di tutti i presenti.

Dapprima l’attività pittorica è stata eseguita con le dita poi con l’uso di pennelli. Le persone hanno cominciato a tracciare semplici segni, oppure ad abbozzare disegni. Non c’è dubbio che disegnare e dipingere frontalmente tra coloro che hanno un legame favorisca una reciproca influenza che si sviluppa come un dialogo per immagini, come possiamo vedere dalla foto 1. Qui, dapprima si era attivato il coniuge accompagnatore, poi la paziente e il tema emerso è stato quello della città natia di Napoli con il Vesuvio, i suoi colori, i suoi simboli, le sue atmosfere. I due spesso si guardavano, la paziente sorrideva e ogni tanto diceva qualche parola. Il Vesuvio del marito è una massa densa e pesante dove il fuoco sembra premere dall’interno creando una tensione ben visibile anche nell’ autore, mentre la rappresentazione della città della paziente attraverso simboli diversificati risulta più leggera, gioiosa e varia.  Impressi sulla carta sono i ricordi del passato quando la coppia non si era ancora trasferita.

1.

Un altro “Sotto/Sopra” particolarmente significativo (foto 2) è stato quello di una malata over settanta, accompagnata da un’amica più giovane di lei. L’accompagnatrice ha iniziato ad osservarla e a farle un bellissimo ritratto, mentre la paziente dopo poco ha iniziato a realizzare un’auto ritratto, dicendo che quella che stava disegnando era sé stessa da bambina con un fiocco in testa. Bambina che poi è diventata adulta come narrano i seni che emergono dal decolté. Nel dialogo per immagini, ritratto ed autoritratto raccontano cicli di vita della paziente (infanzia, età adulta, vecchiaia) lungo un filo che non si spezza, grazie al riconoscimento innescato dal ritratto che la paziente ha visto fare dall’amica che le stava di fronte. Sia il ritratto che l’autoritratto sono espressi a mezzo busto, ma oltre alla palese differenza di stile c’è una differenza ben più sostanziale: l’accompagnatrice ha fatto un ritratto della paziente con gli occhi chiusi, mentre la paziente le ha risposto con un autoritratto dagli occhi ben aperti, che alla fine ha firmato ribadendo il suo senso di identità e consapevolezza del qui ed ora. L’amica la vede un po’ sognante, assente e rinchiusa nel suo mondo, la paziente invece le ricorda di esserci con la sua storia, la sua biografia. Questo esito non era per nulla scontato e difficilmente si sarebbe potuto raccontare a parole. Le immagini sottosopra con la loro forza intrinseca  ed espressiva hanno reso esplicito un sentire, un discorso, un vissuto.

2.

In altri casi, i pazienti si sono attivati prima e maggiormente dei loro accompagnatori mostrando di essere molto meno bloccati a livello espressivo, destreggiandosi con colori e forme in maniera semplice e diretta, vivendo il qui ed ora del momento. Un esempio di questo lo vediamo nella foto 3 dove ad un certo punto la paziente ha proposto alla figlia di scambiarsi di posto perché a lei ne rimaneva ancora tanto di inutilizzato!

3.

In altri casi, è successo l’inverso, cioè gli accompagnatori si sono attivati con la pittura, mentre i pazienti per niente o molto poco. In un caso la paziente è rimasta quasi sempre con gli occhi chiusi praticando con la mano destra un automassaggio al viso, nonostante le affettuose sollecitazioni del marito a intingere le dita nel colore. Alla fine, il marito, sporgendosi in avanti nella parte del foglio della moglie, ha disegnato la sagoma di una mano, una stella, un albero di Natale e il nome di lei realizzando tutto in senso orientato alla moglie come se lei stesse osservando. Nella sua parte invece aveva disegnato un fiore giallo e rosso: nella simbologia del colore ciò corrisponde al desiderio di cambiamento, sullo stelo delle foglie che somigliano a grosse spine. Quello che a primo impatto può sembrare un monologo è un messaggio pieno di affetto che oltrepassa i confini della comprensione razionale a cui la malata ha risposto con l’automassaggio facendo sapere al marito di preferire il contatto e la sua presenza fisica perché maggiormente la rassicurano. 

Per concludere, alcune riflessioni emerse durante la condivisione dell’esperienza con i caregiver:

 – Per me è stato meglio delle aspettative con cui ero venuto per questo laboratorio perché ho visto che mia moglie si è attivata.

– Dopo aver cominciato a disegnare lei ha cominciato a ricordare e a parlarmi delle mostre d’arte che aveva visitato, dei suoi viaggi culturali. Poi ha ricordato anche la Pietà di Michelangelo deturpata da un vandalo tanti anni fa ed era visibilmente indignata.

– Oggi mia madre è arrivata arrabbiata e scontrosa, ma poi pian piano durante l’attività si è rasserenata e ha avuto il sorriso stampato in faccia per tutto il tempo.

-Mia madre si è attivata poco con la pittura, ma mi sono accorto per la prima volta che non riesce più a scrivere le parole in modo completo, le inizia e poi le lascia a metà.

 -La mia mamma ad un certo punto ha voluto che ci scambiassimo di posto perché lei non aveva più  spazio per dipingere, mentre io ne avevo ancora tanto e glielo ho ceduto più che volentieri.

– Mia moglie è stata con gli occhi chiusi quasi per tutto il tempo e non ha mai messo le dita nel colore,  a me invece è piaciuto dipingere e mi sono rilassato.

NELLE PROSSIME DUE PUNTATE DI GENNAIO E FEBBRAIO GLI ESITI DEGLI ALTRI LABORATORI

Maria Teresa Cardarelli, Dicembre 2019

 

Note al testo

  1. GAFA (Gruppo Assistenza Familiari Alzheimer) dal 1998 ha iniziato ad operare a fianco delle famiglie che hanno al loro interno un malato di demenza. Costituitasi come organizzazione di volontariato nel successivo anno 2000, l’Associazione opera a Carpi, Campogalliano, Soliera e Novi di Modena grazie all’impegno dei soci volontari e con la collaborazione di diverse figure professionali per realizzare attività e progetti integrati con quelli socio-sanitari pubblici e privati esistenti nel territorio.
  2. www.centrogdl.org
  3.  ll termine anglosassone “caregiver”, è entrato ormai stabilmente nell’uso comune e indica “colui che si prende cura” e si riferisce a tutti i familiari che assistono un loro congiunto ammalato e/o disabile. I “caregiver” dei pazienti con demenza sono la grande maggioranza. In particolare, secondo i dati riportati nel Libro bianco 2018 “La salute della donna – Caregiving, salute e qualità della vita” in Italia l’86% delle donne è impegnato con diversi gradi di intensità nell’assistenza a familiari ammalati, figli, partner o più spesso genitori. 1 su 3 se ne prende cura senza ricevere aiuto e solo 1 su 4 è agevolata dal punto di vista lavorativo.