Per una cultura dell'ascolto nell'interesse del minore
L’esperienza sul campo mi ha fatto toccare con mano che la famiglia si configura sempre come un sistema primario di relazioni tra loro strettamente interdipendenti, per cui se si modifica un elemento al suo interno, si modifica l’intero sistema con effetti a catena. Ciò, accade in maniera evidente nei casi di separazione e di divorzio, fenomeno quest’ultimo in costante aumento in Italia dal 2015. Anche quando le separazioni e i divorzi sono consensuali, per un figlio, significa elaborare un vero e proprio lutto che diventa molto più drammatico quando i genitori entrano in conflitto aperto. Purtroppo, il ddl 735 presentato nell’ agosto 2018 dal senatore leghista Simone Pillon, se approvato, potrebbe modificare in peggio l’istituzione dell’affidamento dei figli delle coppie che decidono di lasciarsi. Un primo effetto, ma solo secondario di questa proposta di legge, sarebbe la cancellazione dell’assegno di mantenimento in relazione al doppio domicilio del minore che avrà formalmente due case, dividendosi così equamente tra mamma e papà. Questa proposta presuppone l’idea che il figlio sia una sorta di proprietà e che come tale possa essere divisa al 50% tra i due beneficiari che si divideranno automaticamente anche gli oneri di mantenimento. L’immagine che si presenta è quella di un bambino con la valigia in mano, una sorta ‘di pendolare’ alla mercé di due datori di lavoro che spesso e volentieri non sono d’accordo sulle strategie aziendali’, se mi si può passare la metafora. Questa proposta di legge estremizza l’ordinamento dell’affido condiviso, disciplinato dalla legge 54 del 2006, che in questi anni di attuazione si è mostrato alquanto lacunoso nei casi di violenza o abuso genitoriale. Molte volte l’abuso, sia esso psicologico, fisico o sessuale a carico dei minori rimane sotto le ceneri della paura e dell’omertà, perché quando queste situazioni vengono denunciate alle autorità competenti, paradossalmente le vittime si trovano ancora più esposte al rischio. Prima che venga predisposto l’allontanamento del genitore abusante ci può volere tempo e, quando per ragioni burocratiche il tempo si allunga, ci si ritrova di fronte a situazioni irrecuperabili e tragiche. Le stragi familiari riempiono sempre più le nostre cronache televisive e giornalistiche facendoci precipitare in una sorta di Medioevo umano e culturale. L’affido condiviso funziona quando i coniugi si rispettano reciprocamente e quando nella separazione riescono ad accordarsi nell’interesse dei figli, ma ciò che è auspicabile spesso si discosta molto dalla realtà. Nel caso poi un minore dichiari apertamente di non voler stare con un genitore, la proposta di legge Pillon lo butterebbe tra le braccia dell’orco o della strega di turno, infatti, sempre secondo il senatore, un bambino con queste inclinazioni sarebbe affetto da ‘alienazione parentale’ (PAS-Parental Alienation Syndrome), una sorta di un disturbo psichico che tra l’altro nel manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM) non è neppure menzionato. Il minore affetto da tale presunta sindrome dovrebbe a questo punto negoziare con il suo aguzzino/a in una mediazione familiare che per legge, diventa obbligatoria. Per esperienza, ho constatato che i bambini sono naturalmente portati a giustificare i loro genitori e a supportarli anche quando essi sono inadeguati, per cui quando i minori si rifiutano di stare con un genitore dovremmo farci delle domande, focalizzandoci non su una presunta patologia del minore, bensì sullo ‘stile genitoriale’. Riassumendo, nei casi di violenza comprovata è assolutamente necessario proteggere le vittime e non esporle ulteriormente a rischi di maltrattamento. Altre volte purtroppo i genitori che agiscono forme di violenza psicologica sono entrambi e mi riferisco a coloro che durante una separazione si fanno la guerra brandendo i figli come strumenti di ricatto reciproco. Questi genitori tendono a mettersi in cattiva luce reciprocamente di fronte ai figli, compromettendone seriamente la stabilità emotiva. Anche qui, ben lungi dall’ attribuire al minore una sindrome, sarebbero i genitori che andrebbero rieducati. La mediazione familiare quando è fatta bene è utile, ma nei casi di violenza comprovata è assolutamente da evitarsi e negli altri casi a mio parere non può avere il carattere di obbligatorietà. Infatti, la mediazione assume significato se le parti in causa sono disposte a mettersi in gioco per il benessere dei figli, ma questo presuppone una volontà personale e una corresponsabilità. Dunque, la mediazione la si può proporre e non certo imporre e poi almeno nella sua fase iniziale dovrebbe essere gratuita. Ciò che andrebbe promossa con maggior impegno nelle scuole e nei consultori è una cultura dell’ascolto, sia delle famiglie spesso in difficoltà oggettiva, sia dei bambini sempre più abbandonati a loro stessi. Non sono i bambini ad essere malati, la maggioranza dei bambini problematici che incontro sono solo il sintomo di un mondo adulto che non funziona più e che non è pienamente consapevole delle conseguenze del proprio agire genitoriale ed educativo.